_news #303
25 Maggio 2011
La riforma del condominio – Suggerimenti di Assoedilizia – Avv. Cesare Rosselli
Aspetti problematici della riforma del condominio

Il progetto di riforma approvato dal Senato della Repubblica il 26.1.2011 ed attualmente all’esame della Camera dei Deputati riguarda l’intera materia condominiale ed interessa, quindi, molteplici aspetti di tale disciplina. In queste prima note si formulano alcune osservazioni relative a tre temi specifici riservando ad ulteriori osservazioni il commento degli altri argomenti.

1.- Proprietà comuni, proprietà individuali e destinazione d’uso.

1.1.- La prima osservazione riguarda l’introduzione del concetto di “destinazione d’uso” nella disciplina delle parti comuni e delle parti di proprietà esclusiva. Preliminarmente occorre osservare l’inopportunità dell’impiego in ambito civilistico di una terminologia e di un concetto derivante dalla disciplina edilizia ed urbanistica per le notevoli implicazioni in termini di ambiguità delle norme e di difficoltà di interpretazione che ne potrebbero derivare. Va ricordato, infatti, che la attuale disciplina condominiale si riferisce alla “destinazione” o al “godimento” dei beni comuni o privati, concetti non equivalenti a quello introdotto dalla riforma.
Ma al di là degli aspetti terminologici, ciò che preoccupa è che l’introduzione di tale concetto conduce al risultato di limitare fortemente e, comunque, condizionare fortemente le possibilità di godimento dei beni comuni ed anche – ed è questo un profilo ancor più preoccupante – delle proprietà individuali attraverso varie disposizioni limitative. Ad esempio si giunge persino ad affermare che le modifiche o le variazioni delle destinazioni d’uso delle proprietà individuali sono vietate “benché consentite dalle norme di edilizia” ove sia ipotizzabile una “diminuzione di godimento o di valore” delle parti comuni o delle parti individuali. E’ ben evidente che indicare come limite il generico concetto di “diminuzione di godimento o di valore” lascia, da un lato, del tutto incerto il singolo proprietario circa l’effettiva estensione del suo diritto di proprietà (cosa in concreto possa fare) e, dall’altro lato lo espone ad iniziative anche del tutto pretestuose da parte degli altri condomini e, come si dirà a breve, anche dei conduttori.
In sintesi, nella nuova disciplina l’estrinsecazione e la fruibilità del diritto di proprietà individuale, sia sulle parti comuni che addirittura sulle proprietà private, vengono ad essere subordinate ad una cristallizzazione dello “status quo”, in cui ogni modificazione o maggior valorizzazione debba passare attraverso un vaglio, e spesso una espressa approvazione da parte degli altri condomini. Concetto questo altamente limitativo del diritto di proprietà in sé e per sé e comportante grosse difficoltà di attuazione stante la ben nota tendenza dei condomini in genere a non consentire alcuna modificazione delle situazioni in essere. Senza contare l’oggettiva difficoltà di ottenere l’adozione di deliberazioni con maggioranze qualificate, stante la tendenza dei condomini stessi a non presenziare alle riunioni assembleari se non quando personalmente e direttamente interessati. Oltretutto non è affatto chiara la finalità di queste norme; ossia quali siano i diritti che si vogliono tutelare comprimendo il diritto di proprietà sui beni comuni e su quelli privati.

1.2.- Passando ad un esame più ravvicinato dell’articolato, occorre sottolineare che – relativamente alle parti comuni e private – sino ad ora tutti i riferimenti alle destinazioni d’uso erano lasciati sottintesi dagli usi concretamente possibili, la nuova formulazione dell’articolo 1117 prevede espressamente la necessità di una specifica indicazione delle “ulteriori” destinazioni d’uso delle parti comuni “a pena di nullità”, che non si comprende bene a cosa debba riferirsi, ma che sembrerebbe non doversi riferire ad altro che alle “ulteriori” destinazioni d’uso, oltre quelle canoniche e rituali.
Ciò sta a significare che, se i titoli (atti di acquisto o regolamento contrattuale) non prevedono altre e diverse possibilità di utilizzo delle parti comuni, gli usi consentiti sono solo quelli specifici e tipici dei beni stessi.
Un esempio semplice per comprendere il senso della nuova proposta normativa: i muri perimetrali di un edificio hanno quale destinazione naturale quella di contenere i vani del fabbricato, ripararli e proteggerli. Questa è la destinazione naturale e fondamentale. Ma la Giurisprudenza ci ha anche insegnato che, oltre a tale utilizzazione, gli stessi muri possono essere idonei a consentire l’appoggio di canne fumarie, tubazioni, fili, oltre all’apertura di porte e finestre. Ma queste destinazioni d’uso non sono quelle fondamentali, bensì “ulteriori”.
Ora, in presenza della nuova normativa, se non sarà stata espressamente prevista ogni ulteriore possibile destinazione (che non sarà solo una di quelle sopra elencate, ma potrà essere ogni altra possibile, purchè non pregiudizievole), tali utilizzazioni non saranno più possibili, salvo l’autorizzazione espressa così come prevista dal successivo articolo 1117 ter (quella di cui al 5° comma dell’art. 1136 c.c. – maggioranza dei partecipanti al condominio non inferiore a 2/3 del valore dell’edificio). Maggioranza come ben si comprende molto elevata e difficilmente raggiungibile. In realtà già con la formulazione attuale la modifica della destinazione d’uso richiede questa maggioranza (ad esempio per trasformare una parte del giardino condominiale in posteggio per auto); tuttavia questa è necessaria per “cambiare” la destinazione, non per aggiungerne una nuova senza modificare o pregiudicarela precedente. Lanuova formulazione implica quindi una notevole limitazione del diritto di proprietà e della libera utilizzazione delle parti comuni da parte dei singoli condomini.
Va inoltre segnalato che la riforma non prevede alcuna disposizione transitoria e di coordinamento con la disciplina attuale e ciò in generale per tutte le varie novità che si vorrebbero introdurre. Sul tema specifico tale mancanza appare ancor più grave visto che sul patrimonio edilizio esistente che la riforma è destinata principalmente ad incidere.

1.3.- Ma le novità non finiscono qui perché la nuova formulazione dell’art. 1122 prevede che, sia nell’ambito dell’utilizzo delle parti comuni che della sua proprietà individuale, il condomino non possa eseguire modifiche o variare le destinazioni d’uso previste dal titolo (regolamento o rogito), non solo se ne derivi danno alle parti comuni o individuali di altri condomini o un pregiudizio alla stabilità, sicurezza dell’edificio o al decoro architettonico dell’edificio, ma anche se si verifichi una “diminuzione di godimento o di valore”, come sopra già detto. E ciò potrebbe sembrare già previsto dalle norme in vigore, ma come sopra evidenziato non è così.
Vi è poi un’altra novità: l’obbligo di preventiva informazione all’amministratore che deve riferire all’assemblea. Quindi, nel dubbio che l’intervento debba o meno esser considerato rientrante nella specifica categoria tutelata e vietata, il singolo condomino non potrà far a meno di informare l’amministratore che a sua volta dovrà convocare l’assemblea. Perciò innanzitutto per iniziare ogni intervento si dovrà attendere le relative decisioni. E si badi bene che, ove questa informazione preventiva sia incompleta e non sufficientemente dettagliata, l’amministratore potrà, e conseguentemente dovrà, rivolgersi all’autorità giudiziaria per bloccare l’intervento. Dopo di che, ove l’assemblea vieti l’intervento, il condomino dovrà impugnare la deliberazione per violazione dei propri diritti, e bloccare il proprio intervento. E se l’assemblea non dovesse deliberare, per mancanza dei quorum o per scelta specifica di non pronunziarsi? Il condomino si troverebbe ad essere ulteriormente limitato nell’esercizio dei suoi diritti.
Si ribalta perciò il principio fondamentale che il singolo è libero di intervenire, specialmente nell’ambito della sua proprietà, e che il condomino od il condominio che non sia d’accordo debba assumersi l’onere di far ricorso all’autorità giudiziaria.

1.4.- Queste limitazioni all’ordinario diritto di godimento ed uso delle parti comuni e delle parti private sono ulteriormente rafforzate dal nuovo art.1117 quater che prevede che, in caso di attività od interventi contrari alle destinazioni d’uso canoniche o risultanti dagli atti d’acquisto o espressamente e specificamente autorizzate dall’assemblea, ciascun condomino, e addirittura ogni conduttore possa chiedere all’amministratore di intervenire convocando un’assemblea per la tutela della destinazione d’uso. E nel caso in cui l’amministratore non lo faccia (e anche nel caso in cui l’assemblea non deliberi) è ammesso il ricorso all’Autorità Giudiziaria. Ricorso che potrebbe quindi addirittura essere proposto dal conduttore, per ordinare, in via d’urgenza, la cessazione dell’attività e la rimessione in pristino dei luoghi, fatto salvo il risarcimento dei danni.
Se ne dovrebbe derivare il principio, non solo che addirittura un inquilino possa imporre al condominio la tutela della destinazione d’uso strutturali, ma che possa imporre agli stessi condomini il suo mantenimento e la non realizzazione di ogni altra destinazione, ove i condomini non assumano espresse deliberazioni. Ciò comporta una grave intromissione degli inquilini nella vita condominiale, ed una pesante compromissione e limitazione del diritto esclusivo dei condomini sulla gestione dei beni condominiali. E si badi bene che la gestione delle parti comuni diverrebbe subordinata oltre che alla volontà dei comproprietari, anche a quella di coloro che questi ultimi introducano nell’immobile, anche solo a titolo di occupazione e per un periodo di tempo limitato. Tutto ciò se appare già poco comprensibile e giustificabile per quel che riguarda l’utilizzo delle parti comuni, assolutamente non si giustifica sull’utilizzazione delle proprietà private là dove non può ammettersi una facoltà di ingestione da parte degli inquilini di altri condomini e neppure degli altri condomini.
Si noti, inoltre, che l’azione prevista dal nuovo art.1117 quater presuppone la mera alterazione della destinazione d’uso in atto e non il verificarsi di un pregiudizio per qualcuno. Il che significa che le destinazione d’uso non si possono cambiare neppure se il cambiamento non pregiudica nessuno.

1.5.- Deve essere ricordato che la nuova normativa prevede anche la modifica dell’art.2943 in tema di trascrizione rendendo obbligatoria la trascrizione delle delibere, delle sentenze che riguardino “determinazioni o modifiche delle destinazioni d’uso dei beni che si trovano nell’edificio”, ossia non solo dei beni comuni, ma anche dei beni privati. Viene così completato il sistema dell’ingessamento delle destinazioni d’uso quando tutta la legislazione urbanistica ha ormai compiuto il passo verso una sostanziale liberà di mutamento delle destinazioni d’uso.

1.6.- Anche in tema di divisione dei beni comuni si ritrova il concetto di destinazione d’uso poiché il nuovo art.1119 pone la tassativa condizione che la divisione “debba avvenire in parti corrispondenti ai diritti di ciascuno, rispettando la destinazione e senza pregiudicare il valore delle unità immobiliari”. La divisione delle parti comuni può essere attuata solo a condizione che i beni possano essere divisi ove la divisione sia possibile in natura, cioè attribuendo a ciascun condomino una parte del bene corrispondente al suo diritto e solo mantenendo la medesima destinazione d’uso. Si pensi al caso dei locali ex portineria: è evidente che non potrebbero essere mai divisi in natura attribuendo a ciascun condomino una porzione degli stessi; come è evidente che a nessuno interesserebbe una porzione da lasciare destinata a ex portineria.

2.- La tutela della sicurezza.

Il secondo tema riguarda l’art.1122 bis in tema di sicurezza che prevede una serie di poteri e doveri a carico dell’amministratore in relazione agli interventi riguardanti la sicurezza negli edifici in quanto il mancato rispetto della normativa sulla sicurezza viene considerato come una situazione di pericolo immanente per l’integrità delle parti comuni e delle unità immobiliari di proprietà individuale, nonché per l’integrità fisica delle persone. Lo scopo della norma è sicuramente commendevole, ma la concreta attuazione è altrettanto sicuramente discutibile.

2.1.- In primo luogo, va detto che la procedura prevista è particolarmente lunga e macchinosa proprio in ipotesi in cui possa esservi un pericolo per le persone. Infatti, su segnalazione di un condomino o di un conduttore l’amministratore deve accedere alle parti comuni dell’edificio ovvero deve richiedere l’accesso alle parti di proprietà esclusiva dei condomini interessati per prendere visione delle opere effettuate. L’accesso alle parti comuni dovrà avvenire con un tecnico nominato in accordo con il richiedente, mentre l’accesso alle proprietà individuali dovrà essere eseguito tramite un tecnico nominato di comune accordo tra il richiedente e il proprietario dell’unità immobiliare stessa. A seguito dell’accesso il tecnico consegna una relazione all’amministratore che deve essere tenuta a disposizione di tutti i condomini che vi abbiano interesse e, in caso di violazioni della normativa di sicurezza, l’amministratore deve provvedere a convocare l’assemblea per prendere i provvedimenti opportuni. Un iter lunghissimo e potenzialmente destinato a vanificare lo scopo della norma.

2.2.- E’ poi incomprensibile che detta procedura sia messa in moto per il semplice “sospetto” di problemi di sicurezza e che le certificazioni di conformità alle norme di sicurezza degli impianti privati non abbiamo alcuna rilevanza. Dice infatti la norma che l’esibizione della documentazione da parte del condomino che ha effettuato le opere non è di per sé sufficiente a non consentire l’acceso dell’amministratore. E’ triste dover constatare che da un lato le norme impongono gli adeguamenti di sicurezza e le certificazioni e dall’altro lato li considerano irrilevanti.

2.3.- Infine, va ricordato che la previsione che un solo condomino o anche un solo conduttore possa mettere in moto questa procedura comporta gravi rischi di iniziative emulative e ricattatorie, ben note alla vita condominiale e nei rapporti tra locatori e conduttori, che nulla hanno a che fare con le finalità di sicurezza. Anche sotto questo profilo, quindi, la norma appare di infelice formulazione.

3- La partecipazione dei conduttori alla vita condominiale.

3.1.- Si sono già viste le norme che prevedono l’intervento dei conduttori nella vita condominiale ai fini della “tutela delle destinazioni d’uso” ed ai fini delle verifiche sulla sicurezza degli impianti. Il progetto di riforma prevede però anche una partecipazione dei conduttori all’assemblea condominiale ed al pagamento delle spese.
Attualmente, i conduttori non hanno alcun rapporto diretto con il condominio, ma su convocazione del locatore hanno diritto di partecipazione e voto relativamente alle decisioni ordinarie in tema di riscaldamento e condizionamento. La riforma prevede che i conduttori degli usufruttuari – ma vi è chi ha già interpretato la futura norma nel senso che si riferisca a tutti i conduttori – votino per tutte le materie ordinarie e al godimento delle cose e dei servizi comuni ed, intendendo la norma in senso letterale, si potrebbe ritenere anche per la nomina dell’amministratore e siano tenuti in solido con il loro locatore al pagamento delle relative spese.

3.2.- La previsione della riforma non appare ispirata un principio coerente perché se è vero che il conduttore decide e paga relativamente alle spese che decide è altrettanto vero che il condomino locatore pur non decidendo deve ugualmente pagare divenendo così garante del conduttore. E’ ben evidente infatti che il condominio procederà al recupero del credito sempre nei confronti del condomino-locatore attesa la solvibilità di questo proprietario dell’immobile.
Se sul piano della politica legislativa si vuole attribuire al conduttore il diritto di voto ed i poteri decisionali nell’ambito condominiale, limitando ulteriormente il diritto di proprietà, occorre farlo fino in fondo e riconoscere che il condomino-locatore nulla c’entra con le spese decise dal conduttore ed eliminare la solidarietà di quest’ultimo. Del resto nel sistema attuale il conduttore è già tutelato contro possibili abusi del locatore dalle norme che gli consentono di verificare rendiconti e giustificativi di spesa.

3.3.- Oltre alla quesitone generale, la norma presenta criticità sotto altri profili. Il primo riguarda le materie sulle quali il conduttore avrebbe diritto di voto: la formulazione come detto lascia il dubbio che il conduttore possa votare per la nomina dell’amministratore che sa da un lato è materia ordinaria dell’altro ha compiti e funzioni ben maggiori di quelle puramente ordinarie. Inoltre il riferimento al “ godimento delle cose e dei servizi comuni” può prestarsi ad interpretazioni estensive ed a dubbi.

3.4.- Il secondo riguarda la totale mancanza di coordinamento con le norme sulle locazioni: non tutte le spese ordinarie sono considerate ripetibili dal locatore al conduttore. Può insomma darsi il caso che il conduttore decida in materie ordinarie non paghi le relative spese che sono poi pagate dal locatore il quale però non può chiederne il rimborso al conduttore. In sostanza, il conduttore decide, il locatore paga e non può avere il rimborso. Occorrerebbe una modifica di tutta le legislazione locatizia nel senso che il locatore abbia diritto al rimborso di tutte le spese decise dal conduttore.
Inoltre, non vi è alcuna previsione dei casi di conduttore inadempiente al contratto di locazione (tipicamente per morosità ma sono ipotizzabili anche molti altri casi): nel silenzio della norma resterebbe il diritto di voto. Una situazione paradossale.

3.5.- Infine vi sono gli aspetti tipicamente condominiali, ossia sapere chi tra usufruttuario e conduttore debba essere convocato alle assemblee; chi possa impugnare le delibere ritenute per lui pregiudizievoli; chi debba convocare il conduttore all’assemblea. Temi tutti che fanno comprendere come la questione introduca ulteriori complessità nella vita condominiale (si pensi solo all’amministratore che dovrà disporre dei nominativi dei conduttori e tenere una sorta di registro aggiornato per poter verificare gli aventi diritto al voto) e nuovi motivi di controversia (si pensi al caso di una delibera invalida, l’usufruttuario potrà impugnare pur non avendo votato?) dei quali il condominio non sente certo il bisogno.

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