_news #196
17 Settembre 2009
Espropriazione per pubblica utilità - Avv. Bruna Vanoli Gabardi
L’espropriazione per pubblica utilità é disciplinata dal D.P.R. 8 giugno 2001 n. 327 “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità” coordinato e aggiornato con le modifiche introdotte dalla legge 1 agosto 2002, n. 166, dal Dlgs. 27 dicembre 2002, n. 302, dal Dlgs. 27 dicembre 2004, n. 330 ed infine dall’art. 2 comma 89 legge 24 dicembre 2007 n. 244, norma, quest’ultima, emanata a seguito ed in forza della sentenza della Corte Costituzionale n. 348 del 2007.
Premessa di legittimabilità del provvedimento di esproprio é il riscontro dei tre elementi previsti dalla Carta Costituzionale e cioè: la previsione legislativa, il pubblico interesse ed il giusto indennizzo.
La legittimazione ad emanare gli atti del procedimento espropriativo é in capo all’autorità competente alla realizzazione dell’opera pubblica o di pubblica utilità che dovrà, prima di arrivare al decreto di esproprio, verificare che vi sia stata una valida ed efficace dichiarazione di pubblica utilità in base alla normativa vigente e che sia stata determinata, anche se in via provvisoria, l’indennità di esproprio.

La problematica più rilevante si é evidenziata nell’ambito della determinazione della misura della indennità da liquidarsi al soggetto privato destinatario di un provvedimento espropriativo.
Si sono susseguite disposizioni diverse ma pur sempre legate ad un criterio di valutazione parziale del valore del bene che esce dalla disponibilità del soggetto privato per essere destinato alla realizzazione di un pubblico interesse sino ad arrivare alla sentenza della Corte Costituzionale 348/2007 che, richiamando la giurisprudenza della Corte europea: ”Poiché i criteri di calcolo dell’indennità di espropriazione previsti dalla legge italiana porterebbero alla corresponsione, in tutti i casi, di una somma largamente inferiore al valore di mercato (o venale), la Corte europea ha dichiarato che l’Italia ha il dovere di porre fine ad una violazione sistematica e strutturale dell’art.1 del primo Protocollo della CEDU, anche allo scopo di evitare ulteriori condanne della Stato italiano in un numero rilevante di controversie seriali pendenti davanti alla Corte medesima”, dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 5-bis, commi 1 e 2, del decreto legge 11 luglio 1992, n. 333 convertito con modificazioni nella legge 8 agosto 1992, n. 359 e, in via consequenziale, dell’art.37, commi 1 e 2, del D.P.R. 327/2001.
Nella sentenza la Corte dà anche delle indicazioni sulla possibilità di introdurre limitazioni alla configurabilità del pieno indennizzo: ”Valuterà il legislatore se l’equilibrio tra l’interesse individuale dei proprietari e la funzione sociale della proprietà debba essere fisso e uniforme, oppure, in conformità all’orientamento della Corte europea, debba essere realizzato in modo differenziato, in rapporto alla qualità dei fini di utilità pubblica perseguiti. Certamente non sono assimilabili singoli espropri per finalità limitate a piani di esproprio volti a rendere possibili interventi programmati di riforma economica o migliori condizioni di giustizia sociale.”
Dalle statuizioni e direttive di principio formulate dalla Corte Costituzionale deriva l’art. 2 comma 89 della legge 24 dicembre 2007, n. 244 che statuisce per l’espropriazione delle aree edificabili la corresponsione di una indennità determinata nella misura pari al valore venale del bene ad eccezione dell’ipotesi che preveda una espropriazione finalizzata ad attuare interventi di riforma economico-sociale per cui l’indennità viene ridotta del 25%.

Fondamentale l’interpretazione di quali siano le aree edificabili.
In primo luogo il dettato normativo: “Ai soli fini dell’applicabilità delle disposizioni della presente sezione, si considerano le possibilità legali ed effettive di edificazione, esistenti al momento dell’emanazione del decreto di esproprio o dell’accordo di cessione. In ogni caso si esclude il rilievo di costruzioni realizzate abusivamente”(art.37 comma 3 T.U.).
“I criteri e i requisiti per valutare l’edificabilità di fatto dell’area
sono definiti con regolamento da emanare con decreto del Ministro delle infrastrutture e trasporti”.
“Fino alla data di entrata in vigore del regolamento di cui al comma 5, si verifica se sussistano le possibilità effettive di edificazione, valutando le caratteristiche oggettive dell’area” (commi 5 e 6 T.U.)
L’unica esclusione espressa dalla legge riguarda le aree interessate da un vincolo di inedificabilità assoluta. Si parla dei vincoli definiti conformativi cioè quelli che per la loro intrinseca natura escludono l’edificabilità anche di fatto.
Occorre allora prendere in considerazione la giurisprudenza: vedasi, ad esempio, la sentenza della Cassazione n. 3189/2008:
“….questa Corte ha costantemente affermato che il carattere edificatorio del terreno espropriato può essere desunto, oltre che dalla destinazione risultante dagli strumenti urbanistici adottati o in via di adozione, da altri elementi certi ed obiettivi che attestino una concreta attitudine all’edificazione, come ubicazione, accessibilità, sviluppo edilizio della zona circonvicina, esistenza di servizi pubblici essenziali………..D’altra parte, secondo il consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità, la inclusione di un’area nella zona omogenea destinata alla espansione edilizia dell’aggregato urbano concreta l’attributo di edificabilità di quell’area, indipendentemente dalle condizioni di fatto eventualmente influenti sull’apprezzamento economico di mercato”
In attesa della emanazione del regolamento del Ministero delle infrastrutture e trasporti, previsto dal comma 4 dell’art. 37 T.U. di cui sopra, ci troveremo sempre di fronte, nella valutazione delle singole aree, ai criteri discrezionali che verranno adottati dai vari periti che dovranno fare le stime.

Si parla quindi, e finalmente, di valore venale del bene con l’unica eccezione introdotta per le fattispecie di espropriazione finalizzata ad attuare interventi di riforma economico-sociale.
E qui la lettera della legge rischia di dare forma a seri problemi di individuazione di questi interventi. Quando si parla, infatti, di riforma economico-sociale ci si riferisce, generalmente, a programmazioni politiche da attuarsi mediante leggi e atti amministrativi che possono essere i più vari con la conseguenza che vi sarà, in ogni caso, una certa difficoltà ad individuare quali di questi provvedimenti legislativi e amministrativi dovranno essere assoggettati alla disciplina derogatoria della norma generale.
Un orientamento potrebbe essere quello di vedere l’applicabilità della riduzione quando il sacrificio della proprietà privata é giustificato dalla necessità di realizzare interventi di carattere sociale (elemento espresso, del resto, dalla stessa sentenza della Corte), onere che non si giustifica quando l’espropriazione é diretta a realizzare opere che, anche se pubbliche o di interesse generale, hanno però valenza economica, in quanto produttive di beni e servizi.

Altro punto da segnalare per difficoltà interpretative é il comma 7 dell’art. 37 del Testo unico che prevede la riduzione dell’indennità da corrispondersi “ad un importo pari al valore indicato nell’ultima dichiarazione o denuncia presentata dall’espropriato ai fini dell’imposta comunale sugli immobili prima della determinazione formale dell’indennità …….qualora il valore dichiarato risulti contrastante con la normativa vigente ed inferiore all’indennità di espropriazione come determinata in base ai commi precedenti”.
Per l’applicabilità della riduzione la norma prevede la configurabilità di due elementi che devono coesistere e cioè l’inferiorità del valore dichiarato rispetto all’indennità e il contrasto con la normativa vigente. Ma allora la riduzione non potrà essere applicata in tutte le fattispecie in cui si riscontri un valore di indennità superiore a quello dichiarato ma esclusivamente nelle ipotesi in cui il valore inferiore abbia la sua fonte in una violazione di legge. Soltanto, quindi, quando il privato non abbia applicato una norma o l’abbia applicata male.

Il quadro della determinazione dell’indennità di espropriazione secondo la normativa vigente indicata é complessivamente il seguente:
Esproprio di aree edificabili
L’indennità va determinata nella misura pari al valore venale del bene e viene ridotta del 25% quando l’espropriazione é finalizzata ad attuare interventi di riforma economico-sociale.
Nelle ipotesi in cui vi sia stato un accordo di cessione o l’accordo non sia stato concluso per fatto non imputabile all’espropriato oppure nell’ipotesi in cui sia stata offerta all’espropriato una indennità provvisoria che, attualizzata, risulti inferiore agli otto decimi di quella determinata in via definitiva, l’indennità é aumentata del 10%.
Esproprio di aree non edificabili
L’indennità viene determinata sulla base del valore agricolo tenendo conto delle colture effettivamente praticate sul fondo o, se l’area non è effettivamente coltivata,commisurandola al valore agricolo medio corrispondente al tipo di coltura prevalente nella zona
Esproprio di aree legittimamente edificate.
L’indennità é determinata nella misura del valore venale se l’edificazione é legittima.
Se invece l’intervento é stato realizzato, in tutto o in parte senza provvedimento di assentibilità l’indennità viene calcolata tenendo conto della sola area di sedime o della sola parte della costruzione realizzata legittimamente.
Nell’ipotesi sia pendente una procedura di sanatoria della costruzione é l’autorità espropriante che, sentito il Comune, ne accerta la sanabilità ai soli fini della corresponsione della indennità.
Si intende, quindi, per opera legittima anche quella sanata.

La Regione Lombardia, nell’esercizio della potestà legislativa concorrente in ordine alle espropriazioni strumentali alle materie di sua competenza (art.5 comma 1 T.U. 327/2001) ha emanato la legge 4 marzo 2009 n. 3 “Norme regionali in materia di espropriazione per pubblica utilità”
La normativa é di formazione troppo recente per poter essere oggetto di interpretazioni approfondite. Sino da ora, però, evidenzia punti problematici.
E’ ben vero, infatti, che le Regioni esercitano la potestà legislativa concorrente in ordine alle espropriazioni strumentali alle materie di propria competenza (art.5 comma 1 Testo Unico), ma questa potestà in ogni caso deve essere esercitata nel rispetto dei principi fondamentali della legislazione statale e dei principi generali dell’ordinamento giuridico di cui alle disposizioni contenute nel Testo Unico.
Vediamo alcuni punti della disciplina.
Fra le autorità esproprianti la legge inserisce (art.3 comma 1 lettera c) le società a totale o a maggioritaria partecipazione pubblica che hanno la proprietà o la gestione delle reti e degli impianti ad esse collegati per la fornitura di servizi pubblici.
Vi é qui la precisa identificazione di una particolare categoria di soggetti di diritto privato che si vedono attribuire direttamente il potere di autorità espropriante.

La dichiarazione di pubblica utilità si intende disposta (art.9 comma 1 lettera a) quando l’autorità espropriante approva il progetto definitivo ovvero il progetto preliminare, o il programma triennale delle opere pubbliche o il piano attuativo o, ancora, (lettera b) quando “in base alla normativa vigente, equivalgono alla dichiarazione di pubblica utilità: l’approvazione di uno strumento di pianificazione territoriale, anche di settore o attuativo, la determinazione finale di una conferenza di servizi o il perfezionamento di un accordo di programma o di altro strumento di programmazione negoziata, ovvero il rilascio di una concessione o di un atto avente effetti equivalenti”.
Desta una certa perplessità l’inserimento nell’elenco di strumenti, quale ad esempio il programma triennale, che in quanto atto di progettazione non sembra proprio potere essere investito delle caratteristiche e dei contenuti che dovrebbe avere la dichiarazione di pubblica utilità

L’art. 14 della legge prevede che i decreti per l’occupazione anticipata, previsti dagli artt. 22, comma 1, 2 e 22 bis del T.U. e dalla L. 21 dicembre 2001, n. 443, in materia di infrastrutture e insediamenti produttivi strategici ed altri interventi per il rilancio delle attività produttive, siano emessi nei casi che vengono così elencati e che riguardano: opere di urbanizzazione primaria, di difesa del suolo e di regimazione delle acque pubbliche; opere relative agli impianti di interesse generale in materia di trasporti,telecomunicazioni, acque, energia, teleriscaldamento e distribuzione di combustibili e carburanti a basso impatto ambientale; interventi di edilizia sanitaria.
La norma regionale prefigura le categorie di opere che rivestono carattere di urgenza mentre la legge statale rimanda la relativa qualificazione alle singole situazioni che di volta in volta si possano presentare.

Per quanto riguarda la valutazione di edificabilità delle aree (materia di estrema importanza dal momento che l’indennità di esproprio per le aree edificabili viene valutata col criterio del valore venale), mentre la legge statale prevede che la valutazione vada fatta prendendo in considerazione l’edificabilità legale e quella di fatto e che quest’ultima debba essere riempita di contenuti con decreto del Ministro delle infrastrutture e, infine, che sino alla emanazione di tale regolamentazione si debba verificare la sussistenza delle possibilità effettive di edificazione valutando le caratteristiche oggettive dell’area, la legge regionale va a normare l’edificabilità di fatto stabilendo che “un’area possiede i caratteri dell’edificabilità di fatto se nell’ambito territoriale in cui l’area stessa é inserita sono già presenti, o comunque in fase di realizzazione, una o più delle opere di urbanizzazione primaria richieste dalla legge”.(art. 18 comma 1):
Introduce anche il principio che il solo requisito della edificabilità legale sia di per sé necessario e sufficiente al riconoscimento della vocazione edificatoria dell’area ai fini espropriativi (art.18 comma 2).

Avv. Bruna Vanoli Gabardi
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