_news #190
26 Giugno 2009
Accertamento del reddito da locazione - Accertamento dell'imposta di registro sulle locazioni
Imposte dirette: accertamento del reddito da locazione

La Legge Finanziaria 2005 (L.30/12/2004, n.311, art.1 comma 342) introdusse una novità in tema di accertamento, ai fini delle imposte dirette, che inserì nel nuovo art.41-ter del D.P.R. 600/73.
Non sono sottoposti ad accertamento i redditi dei fabbricati derivanti da locazione se dichiarati in misura non inferiore all’importo maggiore tra:
- il canone di locazione ridotto del 15%
- e il 10% del valore dell’immobile.
Poichè per la determinazione del valore dell’immobile la norma rinvia all’art.52, comma 4, del D.P.R. 131/86 (ossia al criterio utilizzato per l’imposta di registro in sede di trasferimento), si ha che il valore (sul quale calcolare il 10%) è così determinato:
- rendita catastale, rivalutata del 5%
- moltiplicata per uno dei seguenti coefficienti (che sono stati tutti aumentati, inizialmente del 10% e poi definitivamente del 20%):
o 120, se si tratta di A (esclusi gli A10), B (salvo quanto precisato infra), C (esclusi i C1): in precedenza era 100;
o 60, se si tratta di A10 oppure di D: in precedenza era 50;
o 40,8, se di tratta di C1 (ossia negozi e botteghe) o di E: in precedenza era 34.
Si osserva peraltro che successivamente il D.L. 262/2006, all’art.2, comma 45, per i fabbricati di categoria B, ha stabilito che “...il moltiplicatore previsto dal comma 5 dell'articolo 52 del testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta di registro, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, da applicare alle rendite catastali dei fabbricati classificati nel gruppo catastale B, e' rivalutato nella misura del 40 per cento.”
Riguardo all’aumento dei coefficienti, occorre fare però alcune riflessioni.
Potrebbe fuorviare il fatto che l’aumento dei coefficienti, prima del 10% (operato dall’art.2, c.63, L.350/2003) e poi portato al 20% (dall’art.1-bis, c.7, D.L. 168/2004, conv. con L.191/2004):
- è stato disposto (così testualmente le disposizioni ora citate) “ai soli fini delle imposte di registro, ipotecarie e catastali”, ma senza essere stato tradotto direttamente nell’art.52, c.4, dpr 131/86, che ancora riporta i “vecchi” coefficienti (nemmeno aumentati del 10%)
- e, quanto al definitivo aumento al 20%, è stato disposto solo (così testualmente) “per i beni immobili diversi dalla prima casa di abitazione” (rimanendo quindi un aumento del solo 10% per la prima casa).
Invece, come chiarito dalla circolare n.10 del 16/03/2005 (punto 10.1 e punto 10.5), tali circostanze sono ininfluenti: qui si deve sempre utilizzare l’aumento del 20%.
Non si possono infatti utilizzare i “vecchi” coefficienti (che ancora si leggono nell’art.52 d.p.r. 131/86) poichè il comma 342 della Finanziaria 2005 (che introduce l’art.41 – ter del dpr 600/73) prevede che il valore dell’immobile deve determinarsi ai sensi “dell’art.52, comma 4 ... d.p.r.26 aprile 1986, n.131, e successive modificazioni”. Pertanto il riferimento all’art.52 non è da intendersi solo al testo che si trova nel d.p.r. 131/86, bensì anche ad ogni sua “successiva modificazione” e, pertanto, anche a quelle contenute nella L.350/2003 (aumento del 10%) e nel D.L. 168/2004 conv. con L.191/2004 (aumento definitivo al 20%, salvo 10% per prima casa).
Quanto alla “prima casa”, la circolare citata, chiarisce che pure in tale caso l’aumento deve essere sempre del 20% (e non solo del 10%, come avviene invece ai fini dei trasferimenti). Ciò in quanto l’unica ipotesi rilevante di “prima casa” può aversi solo nell’ambito dei “trasferimenti a titolo oneroso o gratuito” (sempre che ricorrano tutte le condizioni di cui alla nota II-bis dell’art.1, tariffa parte prima, d.p.r. 131/86), non invece nell’ambito delle “locazioni” (e quindi ai fini dell’accertamento in materia di imposte dirette).
Del resto a tale conclusione si perviene anche sulla base di un’altra considerazione. L’accertamento ai fini delle imposte dirette sarà operato dall’amministrazione finanziaria sul “proprietario” del bene locato, essendo il soggetto che produce il reddito e pertanto:
- per il “proprietario” (locatore), avendo egli concesso in locazione l’immobile, cessa per lui (anche se prima lo fosse stata) di essere la “sua” abitazione principale;
- la posizione invece del conduttore (e cioè anche se per costui l’immobile preso in locazione costituisse la “propria” abitazione principale) è irrilevante.
Pertanto, tenuto conto del fatto che l’ ”abitazione” principale è una categoria A, e le sue “pertinenze” normalmente sono dei C, il coefficiente per entrambe (abitazione e pertinenze) sarebbe il “vecchio” 100, che con l’aumento del 20% passa a 120 (e ciò ai fini dell’accertamento in materia di imposte dirette; non invece nell’ambito dei “trasferimenti”, ipotesi in cui alla prima casa deve applicarsi il coefficiente di 100, aumentato del solo 10% e pertanto 110).
Per completezza, si osserva che invece, ai fini della determinazione dell’imponibile I.C.I., i coefficienti in esame non debbono essere aumentati (in quanto in quel caso vale pienamente la limitazione secondo cui l’aumento vale “ai soli fini delle imposte di registro,ipotecarie e catastali” e non quindi per il tributo I.C.I.). Pertanto essi restano: 100, 50, 34.
Occorre dire che queste disposizioni non introducono una minimum tax.
Anche la circolare n.10 del 16/03/2005, punto 10.9, chiarisce infatti che se il locatore dichiara un canone inferiore (e cioè un canone – ridotto del 15% - inferiore al 10% del valore dell’immobile), il fisco non ha alcun potere di riprendere a tassazione “automaticamente” la differenza. Quelle disposizioni sono invece un limite all’accertamento, nel senso che il fisco non procederà ad ulteriori verifiche se il canone contrattuale (diminuito del 15%) è uguale o superiore al 10% del valore del bene. Se invece il canone (meno il 15%) è inferiore (al 10%), il fisco avrà solo un “indizio” di possibile evasione, che lo porterà, eventualmente e se lo riterrà, a svolgere una successiva indagine sul soggetto: ma solo all’esito di tale indagine potrà procedere (se troverà prove) ad un motivato atto di accertamento. Ossia spetterà all'Ufficio dimostrare che il canone realmente incassato sia superiore a quello indicato nel contratto.
In tale contesto, quindi, se il locatore, effettivamente, percepisce un canone (diminuito del 15%) inferiore al 10% del valore, non avrà nulla da temere. Tuttavia potrebbe essere opportuno prendere alcune precauzioni. Ad esempio nel caso in cui l’esiguità del canone sia dovuta a particolari condizioni dell’immobile (pessimo stato di manutenzione, zona decentrata, ecc.), potrebbe essere consigliabile, contestualmente alla conclusione del contratto, far redigere apposita perizia da un esperto (architetto, geometra, ecc.) sullo stato dell’immobile e sul suo reale potenziale reddituale, e allegare tale perizia al contratto di locazione depositato in sede di registrazione (in modo che la perizia abbia data certa e sia già a disposizione dell’amministrazione finanziaria, onde disincentivare ulteriori verifiche).
Si osserva inoltre che, se il canone (meno il 15%) è superiore al 10%, come detto, non si avrà accertamento: tuttavia non si è invece legittimati (visto che il maggior canone è indicato nel contratto e quindi risulta, per effetto del deposito in sede di registrazione, all’amministrazione) a denunciare in dichiarazione dei redditi solo l’importo fino a concorrenza del 10%.
Si ricorda altresì che, nel caso il contratto di locazione non fosse stato registrato, il fisco, accertato il reddito per quella tale annualità, presume (e sottopone a tassazione), salvo documentata prova contraria (pertanto è una presunzione relativa):
- l’esistenza del rapporto di locazione anche per i quattro periodi di imposta antecedenti
- ed un canone pari al 10% del valore dell’immobile (determinato come sopra indicato).
Le disposizioni qui esaminate non si applicano però nel caso di contratti di locazione stipulati secondo il canale assistito e pertanto con “canone concordato” (per espressa esclusione prevista dalla stessa Finanziaria 2005, all’art.1 comma 343).
La circolare citata (circ.10 del 16/03/05, punto 10.2) affronta anche l’ipotesi di locazione inferiore all’anno. In tali casi, precisa il ministero, il “valore” dell’immobile può essere ragguagliato al periodo di durata della locazione.


Imposta di registro: accertamento dell’imposta di registro sulle locazioni

La Finanziaria 2005 (art.1 comma 341) ha introdotto una novità anche ai fini dell’imposta di registro sui canoni di locazione, tradotta nel nuovo art.52-bis del dpr 131/86 (testo unico concernente l’imposta di registro).
Prevede la norma che la liquidazione dell’imposta complementare di registro (di cui all’art.42, c.1, dpr 131/86), sui canoni di locazione, è esclusa se il canone di locazione degli “immobili”, che risulta in contratto, è almeno il 10% del valore dell’immobile stesso.
Quanto al canone, si osserva che (diversamente dall’analoga norma sull’accertamento ai fini delle imposte dirette) la disposizione non prevede che si possa ridurre del 15% ai fini del calcolo. Quindi il confronto andrà fatto tra il canone di locazione integrale e il 10% del valore dell’immobile.
Quanto a tale valore, stabilisce espressamente la norma citata che è da determinare ai sensi dell’art.52, comma 4, del dpr 131/86 (ossia con il criterio utilizzato per l’imposta di registro in sede di trasferimento).
Pertanto si rinvia a quanto già osservato in merito all’analoga disposizione prevista per le imposte dirette.
Si è già detto che nel caso di canone uguale o superiore al 10% del valore del bene, l’Ufficio non procederà a verifiche. Tuttavia la disposizione esaminata precisa che “Restano comunque fermi i poteri di liquidazione dell’imposta per le annualità successive alla prima”. Ciò non significa che la norma si applichi solo in relazione alla prima annualità. Significa solo che, come chiarito dalla circolare n.10 del 16/03/2005 (punto 10.4), in presenza di un canone in linea con il 10% del valore dell’immobile, non si procederà ad ulteriore verifica, ma poi, qualora non venisse versata l’imposta di registro (omissione, ritardo, ecc.), resta fermo il potere dell’ufficio di recuperare l’imposta non pagata.
Si avverte che (come peraltro anche nel caso analogo di accertamento ai fini delle imposte dirette) tali disposizioni per l’accertamento ai fini dell’imposta di registro non si applicano qualora il contratto sia stato concluso secondo il canale assistito e pertanto con canone concordato (tale esclusione è espressamente disposta dalla Finanziaria 2005, art.1 comma 343).
Si osserva infine che anche queste disposizioni non introducono una minimum tax o un accertamento automatico (gli stessi principi affermati dalla circolare n.10/2005, in tema di imposte dirette e sopra commentati, valgono infatti anche per queste norme che sono del tutto analoghe).




Avv. Luca Brembati
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